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Bit79, ho ripreso un discorso che hia fatto sull'altro forum relativamente al modulo di elasticità e ancora ora non riesco a capire bene il discorso.
Dunque, vedo di spiegarmi meglio. Per prima cosa dobbiamo definire due parametri principali di qualunque materiale: la resistenza (espressa dal carico di rottura) e la rigidezza (espressa dal modulo di elasticità).
Cominciamo con la prima, che è anche la più immediata da capire.
Per semplicità si tiene conto di sollecitare un materiale a trazione (come strappare una corda), gli altri casi sono più o meno simili.
Supponiamo di avere un certo materiale in forma di bacchetta cilindrica, e di sottoporlo a trazione, ad esempio appendendolo ad un'estremità e mettendo un peso variabile all'altra estremità. Aumentando gradualmente il peso arriveremo alla rottura della bacchetta (provino). Annotiamo il peso (o meglio la forza in Newton) che ha provocato la rottura, e anche la sezione (in mmq) del provino che abbiamo usato. Ripetiamo la prova con provini dello stesso materiale, ma sezione differente. Otterremo carichi di rottura differenti, ma se facciamo due calcoli, il rapporto tra il carico di rottura e la sezione è costante, e dipenderà solo dal materiale e dal suo stato fisico. Chiameremo questo rapporto moduli di resistenza (a trazione) e lo esprimeremo in N/mmq.
Chiaro no? Ad esempio il ferraccio (Fe360) ha un modulo di resistenza a trazione di 360 N/mmq (guarda caso....).
Vuole dire che per rompere a trazione un provino di 1 mmq di sezione occorre un carico di 360 N. La lunghezza del provino non è influente, infatti con provini di lunghezza diversa ma pari sezione (e materiale) otterremo gli stessi carichi di rottura (si può capire anche a senso, se una corda si strappa con un certo carico non è che se è più lunga o più corta la resistenza cambia...).
Ora vediamo cos'è invece il modulo di elasticità. Nella prima prova abbiamo aumentato il carico gradualmente, aspettando di arrivare alla rottura, ma non abbiamo tenuto conto di ciò che accadeva mentre il carico aumentava. Adesso invece ripetiamo la prova e vediamo cosa accade. Misuriamo la lunghezza della bacchetta prima della prova e teniamola misurata mentre aumentiamo il carico.
Anche se con un materiale relativamente rigido come il ferro non è immediato immaginarselo, la bacchetta si allungherà gradualmente all'aumentare del carico.
Per adesso non arriviamo alla rottura, anzi, rimaniamone ben lontani. Ripetiamo la prova con bacchette di differente sezione e lunghezza (ma stesso materiale) e ricaviamoci l’allungamento assoluto (cioè la differenza tra la lunghezza a vuoto e la lunghezza con un certo carico).
Diciamo che L è la lunghezza iniziale del provino, dL è l’allungamento assoluto con un certo carico.
Definiamo dL/L: esso è detto anche allungamento relativo, e può anche essere espresso in percentuale. Dimensionalmente è un numero puro (è un rapporto tra lunghezze) e esprime quanto si è allungato un certo provino. Si intuisce che un certo carico è in grado di ottenere un certo allungamento relativo in un provino indipendentemente dalla sua lunghezza. Ad esempio, se con un certo carico specifico una barra di 1 metro di allunga di 1 mm, una barra di 2 metri si allungherà di 2 mm (a parità di materiale). L’allungamento relativo in entrambi i casi sarà pari a 0,001. Si capisce anche come per ottenere lo stesso allungamento relativo con barrette di differente sezione servano carichi differenti. Se ad esempio ipotizziamo di provare con una barretta di sezione doppia, servirà un carico doppio per ottenere lo stesso allungamento (è come se dovessimo allungare 2 barrette, ciascuna con il suo carico). Quindi, a pari allungamento relativo, il carico specifico (espresso come rapporto tra il carico in Newton e la sezione in mmq) che serve per ottenere un certo allungamento relativo non dipende né dalla sezione né dalla lunghezza del provino.
Inoltre, se rimaniamo in un range di carichi relativamente bassi (rispetto al carico di rottura) scopriremo che tra l’allungamento relativo è direttamente proporzionale al carico specifico. Se ad esempio un provino si è allungato di 1 mm con un carico di 100 N. si allungherà di 2 mm con un carico di 200 N.
Se facciamo quindi il rapporto tra il carico specifico (F / S) e l’allungamento (dL/L) otterremo un valore:
e = (F / S) / (dL / L)
che sarà costante e dipenderà anch’esso solamente dal materiale e dal suo stato fisico e definiremo come modulo di elasticità (a trazione).
Dimensionalmente è uguale al modulo di resistenza, e con un po’ di fantasia rappresenta il carico specifico che causerebbe un allungamento relativo pari a 1, cioè un raddoppio di lunghezza del provino. Si capisce che tale condizione è puramente ipotetica, il materiale quasi sicuramente raggiungerà la rottura molto prima (a parte casi eccezionali…).
Per avere un’idea, il modulo di elasticità del soluto ferraccio (Fe360) è pari a circa 210.000 N/mmq
Chiara la differenza? Possiamo avere materiali con moduli di elasticità molto alti (cioè molto rigidi) ma moduli di resistenza relativamente bassi (cioè poco resistenti) e casi opposti.
Nel dimensionare una struttura bisogna tenere conto di entrambi i parametri. Ovviamente vogliamo che una struttura non si rompa mentre svolge il suo lavoro, ma spesso vogliamo anche che non si deformi oltre un certo limite. Solitamente si dimensiona una struttura a rottura, per poi verificarla a deformazione elastica. Sia chiaro: la deformazione elastica di per se non mette in pericolo la struttura, ma può renderla inutilizzabile o comunque comprometterne la funzionalità (un ponte di corde è sicuramente robusto, ma non è rigido, ed è difficoltoso da utilizzare).
I casi ovviamente sono da valutare. Ci sono volte che la deformazione elastica di un materiale anche se sottoposto a carichi notevoli non è influente, ci sono altre volte che invece è molto determinante per l’utilizzo della struttura stessa.
Facciamo un esempio: il solito Fe360 può essere impiegato con ragionevole sicurezza con carichi specifici fino a 100-150 N/mmq (poi il margine scelto dipende da molti fattori). Se facciamo due calcoli, vediamo che con un carico di 100 N/mm a trazione, un pezzo di Fe360 si allunga del 0.048%. Una barra di 1 metro si allungherebbe quindi di circa mezzo mm. Ininfluente se stiamo costruendo una scala, inaccettabile nel caso di una macchina utensile!! In una macchina utensile dobbiamo limitare le deformazioni elastiche a pochi centesimi, o anche meno!
Si capisce quindi che le strade sono 2: utilizzare materiali con modulo di elasticità maggiore, o diminuire il carico specifico, ad esempio ingrandendo le sezioni. Il secondo rimedio è ovvio, il primo abbastanza chiaro: non possiamo costruire una cnc di gomma, no?
Abbiamo visto che con un materiale relativamente scadente come il Fe 360 già non possiamo nemmeno lontanamente avvicinarci al suo ottimale sfruttamento per quanto riguarda la resistenza, anzi, dobbiamo mantenere i carichi specifici molto bassi. A questo punto la domanda è lampante: servirebbe a qualcosa utilizzare un materiale più resistente, cioè con modulo di resistenza superiore? La risposta è no! Il materiale scadente è già di per se poco sfruttato, a cosa serve metterne uno più resistente?
Senza essere esperti si potrebbe obiettare supponendo che un materiale più resistente sia anche più rigido. Non sempre è vero. Se questo è abbastanza rispettato passando da un materiale all’altro (ad esempio da alluminio a ferro) solitamente non lo è tra le leghe dello stesso materiale, dimostrando addirittura una inversione di tendenza: acciaio ad altissimo modulo di resistenza (anche superiore a 2000 N/mmq) hanno moduli di elasticità spesso inferiori al solito Fe360. Di poco, ma inferiore (si collocano intorno ai 190.000 N/mmq). Situazione quasi analoga per le leghe di alluminio.
Questo spiega perché nella costruzione di una macchina utensile si debba privilegiare il materiale con il modulo di elasticità più elevato, e diventa praticamente trascurabile il modulo di resistenza, che può essere anche molto basso.
Chiaro?